Aziende e giovani generazioni: servono fari in mezzo al mare in tempesta, non sirene

29 Marzo 2023
Faro

Se c’è un tratto che accomuna gran parte dei ragazzi delle ultime generazioni, al di là delle mode, dei trend e degli idoli che caratterizzano ogni epoca, quell’elemento distintivo è certamente un diffuso senso di smarrimento e di disagio, che sempre più spesso si tramuta in vere e proprie patologie.

Stati mentali, condizioni e malesseri che non sono scritti nel loro DNA o nel destino di una generazione, ma che derivano dalla crisi profonda che la nostra civiltà sta attraversando, in un’epoca di enormi cambiamenti e di difficile lettura come quella che stiamo vivendo.

Mai come oggi, nel corso della storia dell’umanità, guardare avanti anche di pochi anni è stato come sporgere il naso fuori di casa in una giornata di nebbia fittissima, senza la possibilità di vedere più in là di qualche centimetro immersi in un rumore di fondo assordante, che impedisce di concentrarsi, di riflettere e di comprendere in quale direzione stiamo andando.

La rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha impresso un’accelerazione che supera la nostra capacità di adattamento e ci costringe a fingere di muoverci agevolmente in un panorama che non riconosciamo più e che, se da un lato promette infinite opportunità e prospettive, dall’altro ci mette ogni giorno nella paralizzante condizione di non essere quasi mai capaci di comprendere e ancor meno di cogliere.

Può sembrare assurdo, ma in questo panorama i più immobili sono proprio i ragazzi. Non tutti, ovviamente. I pochi che riescono a tenere il passo sono anni luce avanti ai loro genitori e a tutti gli altri, ma c’è un grandissimo numero di giovanissimi e di giovani che sono invece letteralmente paralizzati. Uno stato subdolo, perché spesso non se ne rendono nemmeno conto, immersi nel vortice di un’esistenza sempre più veloce e affollata.

In un simile contesto il ruolo delle aziende non può più essere quello di sirene che tentano in ogni modo di attrarre i naviganti per vendergli qualcosa. Fosse anche il prodotto più iconico o l’innovazione più sorprendente, ciò che invece nella maggior parte dei casi è soltanto maquillage estetico di qualcosa di già visto e consumato, limitarsi a sfociare nelle solite campagne di marketing oggi non può più davvero bastare.

Anche le molte aziende che in questi anni stanno testando strade nuove, coinvolgendo influencer e creator, sfornando tonnellate di contenuti da riversare sui social media o addirittura progettando e mettendo in atto campagne più articolate e complesse, talvolta addirittura sorprendenti o virali, stanno in realtà soltanto allontanando il tempo in cui non avranno più un’audience cui vendere alcunché.

Il motivo è semplice: in un mare in tempesta come questo le sirene portano i marinai verso il naufragio e ciò che serve, invece, sono fari capaci di guidarli verso la salvezza. Un ruolo che molti ritengono dover essere appannaggio esclusivo delle Istituzioni e di altre tipologie di organizzazioni appositamente preposte, ma che oggi, e sempre più in futuro, spetterà anche alle aziende, se non vogliono ritrovarsi tra qualche anno in un cimitero di carcasse affondate.

Ma cosa significa esattamente per un’azienda essere un faro? In primo luogo significa interpretare il presente e avere una visione chiara del futuro. Non di ciò che accadrà, perché questo è pressoché impossibile da conoscere in anticipo, ma degli scenari in cui collocare la propria progettualità e la propria visione. Qualcosa che ha poco a che fare con la pianificazione e la commercializzazione di prodotti e servizi, che già oggi è soltanto la messa a terra di processi molto più complessi e della capacità di ciascuna realtà di trovare la propria collocazione nel Mondo, prima ancora che sul mercato.

Essere un faro significa dunque comprendere come si possa aiutare davvero le persone a guardare avanti con fiducia, a trovare la propria strada e a percorrerla con impegno e soddisfazione, non più come consumatori, ma come cittadini partecipi e responsabili in una società avanzata e consapevole. Un mondo nuovo in cui nessuna azienda si sognerà di irrompere nella vita delle persone solleticando i loro desideri e le loro ambizioni, ma si impegnerà davvero ad offrire a ciascuno ciò che gli occorre per andare verso ciò che può e che vuole realizzare.

Le aziende saranno fari quando smetteranno di vendere prodotti e servizi alle masse, ma avranno imparato ad essere ciò che serve davvero all’umanità: percorsi ricchi di conoscenza, di strumenti, di opportunità e di supporto concreto. Esperienze in cui non esista più alcun confine tra chi progetta, produce e vende e chi desidera, compra e consuma, perché l’intero ciclo si fonderà in qualcosa di completamente diverso, in cui le persone saranno parte attiva di un processo che non avrà più soltanto l’obiettivo di creare utili e generare profitto.

Ciò che finora è stato per lo più il fine, infatti, tornerà ad essere mezzo e la generazione di valore avrà un senso molto più ampio e articolato. Un senso che permetterà alle nuove generazioni di rimettersi in movimento, di tornare a credere, di ricominciare a vedere oltre la nebbia e di appassionarsi alla luce dei fari e alla loro missione: guidare i marinai a navigare in modo sicuro e in una precisa direzione, senza smarrirsi, senza paralizzarsi e senza rischiare di affondare. Una direzione che ciascuno potrà scegliere per sé, ma che le aziende avranno il compito di mostrare e di affiancare, passo dopo passo, offrendo supporti e strumenti che aggiungono valore e offrono opportunità, anziché prodotti che sottraggono risorse e si trasformano presto in zavorre.

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