La prateria inesplorata oltre gli steccati del personal branding
Se c’è una costante in tutte le attività e le teorie connesse al business, e in particolare al marketing, quel punto fermo è la creazione di un recinto che contenga regole, buone pratiche, strategie, formule e istruzioni per definire e progettare quel c’è da fare e farlo nel modo giusto.
Un contenitore stipato di casi di successo, esempi, modelli e pattern che sembrano ripetersi ogni volta che qualcuno riesce ad emergere sugli altri e a mettersi in evidenza, fino ad arrivare al successo.
Questa narrazione nasconde però un lato oscuro e una debolezza spesso evidente: gran parte di quei modelli è emerso senza seguire nessun esempio in particolare, senza aver messo in pratica nessun decalogo e, talvolta, addirittura senza particolare consapevolezza del successo che avrebbe ottenuto nel tempo. E, ovviamente, è emerso in un determinato contesto, in una particolare epoca e situazione.
I casi più clamorosi, inoltre, si collocano spesso con le proprie caratteristiche e i propri comportamenti ben al di fuori di quel recinto e le loro azioni, che gli esperti talvolta smarcano come vezzi o bizzarrie, non solo non possono essere replicate, ma talvolta arrivano addirittura ad essere in antitesi con le buone pratiche e le regole del recinto del successo garantito.
Esiste davvero, dunque, una disciplina che si possa definire Personal Branding? Esistono davvero buone pratiche e strategie capaci di far crescere autorevolezza, considerazione, ascolto, visibilità e carisma di una persona o, invece, ciascuno dovrebbe starsene ben lontano da quegli steccati ed esplorare a modo proprio le vastissime praterie appena al di fuori del corral?
La risposta è ovviamente affermativa: sì, il Personal Branding esiste e ci sono molti ottimi professionisti che ne conoscono, ne illustrano e ne insegnano le regole e le buone pratiche, aiutando molte persone a monitorare e gestire in modo proficuo la propria reputazione.
Ciò che è meno certo e garantito è invece il risultato e, soprattutto, il fatto che questo possa essere ottenuto semplicemente studiando e applicando le regole, ovvero restandosene “comodi” all’interno del recinto. Un approccio del genere può funzionare? Anche in questo caso la risposta è sì, ma attenzione: non vale per tutti e sempre. Il motivo è banale: se davvero fosse così si potrebbero costruire casi di successo in serie, ma basta prendere qualche laureato con lode e vedere dov’è arrivato dopo 10 o 20 anni, per capire che non è così.
Al netto di chi dopo una brillante carriera di studi “si perde per strada” e non ottiene una buona posizione perché non si impegna abbastanza, infatti, ci sono molti che non posseggono o non coltivano le caratteristiche necessarie per farcela davvero. Lo stesso accade con il Personal Branding, che è tale e funziona proprio perché personale, unico, certamente studiabile ma difficilmente replicabile.
Uscire dallo steccato non significa, però, sottrarsi ogni tanto alle regole per dare sfogo all’istinto. Ciò che bisogna trovare, là fuori, è la propria unicità, le proprie passioni, ciò che fa di noi le persone che possono piacere o non piacere agli altri, ma che ci distinguono e ci consentono di fare tesoro di quelle regole e di quelle buone pratiche. Esse sono il mezzo attraverso il quale possiamo raggiungere il risultato, non il fine.
Quando studiamo e applichiamo gli insegnamenti del Personal Branding dobbiamo pertanto fare ciò che le aziende di successo hanno fatto con i loro marchi: puntare all’eccellenza e, al tempo stesso, ricercare la nostra unicità non soltanto attraverso le regole e le buone pratiche che impariamo, ma anche con l’esplorazione di ciò che c’è al di fuori di loro e che attiene a ciò che siamo, molto più che a ciò che impariamo con lo studio e l’esperienza.