Sicuri che quella di Cattelan sia solo una banana?

11 Dicembre 2019

L’eco della banana di Cattelan appesa a un muro dell’Art Basel di Miami Beach si sta spegnendo, ma questa dibattuta performance, ne sono convinto, è una metafora perfetta dell’era in cui viviamo.

Un’epoca in cui la comunicazione divora ogni cosa, fagocitando la realtà in infinite scatole cinesi, in cui essa viene rielaborata e riscritta ad uso e consumo dei media e dell’industria che attorno ad essi prolifera.

In questa era globale e connessa i mezzi di comunicazione sono ormai il fine primo e ultimo di ogni cosa e chi vuole davvero essere (ammesso che ciò che ha in mente sia davvero essere) non può più sottrarsi dall’esigenza di apparire su quelli che una volta erano semplicemente dei mezzi.

La parola d’ordine è viralità. La Rete ha dato ulteriore forza a quella che sui “vecchi media” era già una tendenza chiara, ma prima di Internet finire sui giornali o in tv presupponeva un percorso più tortuoso, per accedere al quale bisognava passare attraverso i caselli di costose ed esclusive autostrade, pagando pedaggi importanti che determinavano una selezione assai poco democratica, ma forse molto meno esecrabile di quanto potesse sembrare.

Oggi quelle autostrade non esistono quasi più. Sono crollati i caselli, cadute le barriere e il progressivo sdoganamento di qualsiasi tabù ci ha restituito una società di morti di fama, pronti a qualsiasi cosa pur di apparire e di uscire da un anonimato che sembra oggi insopportabile.

L’arte non si salva da questo contesto. Anche in un ambito così particolare e prezioso, emergere e uscire dai salotti e dalle gallerie significa far diventare le proprie opere notizia, come dimostrano chiaramente artisti come Banksy, Marina Abramović, Christo, lo stesso Cattelan e pochi altri al mondo.

La banana appesa a un muro della galleria Perrotin, attaccata con un pezzo di nastro adesivo argentato (titolo dell’opera: Comedian) è forse dunque molto più di quello che in questi giorni è stato detto e scritto. Una performance, che ha avuto la sua esaltazione nel gesto dell’artista newyorkese David Datuna, che urla probabilmente proprio questo.

Artista e opera d’arte sono oggi indistinguibili oggetti mediatici che funzionano soltanto quando riescono ad essere un prodotto pensato per i media. La banana è una bocca tappata con lo scotch e inchiodata a un muro da una società di spettatori in cerca di emozioni facili: valutazioni e quotazioni eclatanti, attribuzioni controverse o fantasiose, provocazioni, fatti di cronaca riguardanti gli artisti, performance che bucano lo schermo.

Il tritacarne dei media non aspetta altro che spunti su cui costruire trasmissioni, dibattiti, tavole rotonde, ma anche veri e propri spettacoli, sketch, gag e trovate di ogni genere. Lo stesso vale per il marketing, che si è affrettato a fare “real time” sull’opera di Cattelan come mai si era visto prima. Lo hanno fatto moltissimi in tutto il mondo e tutti hanno declinato i loro oggetti senza nessuna fantasia e con la sola urgenza di trovare un gancio o un appiglio credibile.

Battere il ferro finché è caldo non è più un’opportunità da esplorare, ma la prassi quotidiana di centinaia di migliaia di giornalisti, autori, marketer, comunicatori, speaker, vignettisti, attori, politicanti… Il modello è buono per tutti, senza eccezioni e con un tasso di rielaborazione e di fantasia sempre più basso, perché quando un prodotto è valido in termini mediatici si vende da solo e la gente non ha bisogno di altro.

Non siamo lontani dal Truman show e le onde del finto mare che cercavano di impedire al protagonista di quel film di arrivare al finto orizzonte e svelare il trucco sospingono, nel nostro mondo “reale”, continui trend da dare in pasto alle bocche affamate della gente. Bocche come quella di Datuna, che non a caso ha intitolato la sua performance “Hungry Artist”, artista affamato, raccogliendo una bordata di popolarità altrimenti assai difficile da perseguire.

Il successo rapidissimo a carattere globale di una piattaforma come TikTok, che sta insidiando Instagram e i social più affermati e che vive quasi esclusivamente di trend, interpretati in modo ossessivo dai suoi utenti, ne è la testimonianza più vivida: la comunicazione ha preso il sopravvento e ci sta schiacciando, divorando ogni cosa. L’arte ne è vittima in modo ancora più struggente.

Se Michelangelo nascesse ora e non fosse mai esistito quello del Rinascimento, ad esempio, il suo incredibile talento sarebbe ancora apprezzato? Oppure diremmo semplicemente che sì, è uno bravo veramente, ma il suo modo di esprimersi andava di moda nel 1500?

Ecco, l’arte è oggi di fronte al più incredibile dei paradossi. Non è più espressione di bellezza, di tecnica, di capacità espressiva, ma esercizio di idoneità al circo mediatico, senza il contributo del quale niente può raggiungere quella dimensione globale che è oggi indispensabile per chiunque voglia fare qualcosa in più che limitarsi a vivere di ciò che fa e finché il vento soffia nella direzione giusta.

Il paradosso è che essa non arriva al pubblico globale in quanto arte, ma è ritenuta arte in quanto capace di raggiungere questa enorme platea sospinta dal vento che essa stessa è capace di creare, attraverso le dinamiche mediatiche. Un paradosso che riguarda tutto e tutti, ma che rispetto all’arte lascia più facilmente interdetti.

Foto di pony xie da Pixabay.

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Claudio Gagliardini
Esperto, formatore e relatore in Web Marketing, Social Media e comunicazione online.
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