Parole urlate al web?
Il 17 e 18 febbraio 2017 si terrà a Trieste una importante due giorni di lavoro e di confronto sul potere delle parole: Parole O_stili, cui avrò il piacere di prendere parte. L’evento sarà preceduto dall’organizzazione di singoli tavoli di lavoro, che consentiranno a professionisti e personalità di diversi settori di dialogare e di confrontarsi su questo tema, di grandissima attualità e di forte impatto sociale. Molte le tematiche trattate, per trovare un filo che possa rendere migliori: pubblicità e visual, social media e scritture, giornalismo e mass media, viaggi e divertimento, politica e legge, business e brand, religione, nativi digitali, civiltà degli algoritmi.
Con questo appuntamento già segnato da tempo in calendario, sto iniziando a sviluppare alcune riflessioni, elaborando stimoli che già nascono dal dibattito tra i partecipanti o semplicemente guardando la realtà e i suoi inesauribili spunti. Cosa sono le parole? Com’è cambiato il loro uso nel corso dei millenni? Come impattano sui nuovi media e sulle reti sociali, sempre più in preda a crisi di isteria collettiva e a pericolose derive verso l’intolleranza? Insulti, battibecchi, risse verbali e “flame” sono all’ordine del giorno, in rete.
A questo imbarbarimento contribuiscono i media, la politica, gli opinion leader e noi tutti, perché scrivere sul web è semplicissimo, mentre ragionare comporta fatica e spesso non ripaga con quella visibilità che oramai sembra essere stata eletta a nuovo oro.
Le parole occupano spazio, riempiono il vuoto o si fanno largo, laddove di posto non ce n’è più neppure per il silenzio. Non è soltanto una questione di lunghezza, perché il numero dei caratteri difficilmente è in grado di fare davvero la differenza. Lo spazio che esse occupano è determinato dal senso, dal significato, dal motivo per cui sono scritte e dalla finalità che chi le scrive persegue.
Il problema è che non sempre chi scrive è così bravo da scegliere le parole, la sequenza e il tono giusto per esprimere i propri concetti in modo inequivocabile. Le parole sanno essere ambigue e il linguaggio non è fatto soltanto di vocaboli, ma anche di gesti, di espressioni, di tono e di volume, di pause e di interferenze, di sfumature che tradiscono emozioni e che alterano il senso delle parole, cambiandone il significato e modificandone sensibilmente l’impatto.
È per questo che la parola scritta è destinata a soccombere in rete, io temo. Gli status, i post, i commenti e addirittura i blog sono strumenti inefficaci, per chi non ha grandi capacità di scrittura, di sintesi e di cristallizzazione dei concetti. Sul web la qualità della scrittura è quasi sempre sacrificata sull’altare della fretta, della superficialità e della bramosia dell’ego, che ci porta ad esporci senza la necessaria lucidità, senza una vera analisi e senza il necessario ragionamento.
Condividere, interagire, partecipare, esserci. Sono questi i comandamenti della rete e chi non li rispetta resta confinato nell’anonimato, un limbo cui la società del XXI secolo condanna tutti quelli che preferiscono non esporsi, che si nascondono dall’occhio del grande fratello WWW, che attraverso le nostre parole e le nostre azioni ci profila, ci scheda, ci prende le misure e ci pesa, per controllarci e per stimolare i nostri consumi, oltre che per tenerci impegnati mentre perdiamo potere d’acquisto, lavoro e troppo spesso dignità e speranza.
Dall’evento di Trieste potranno dunque nascere importanti riflessioni, perché la nascita del web, che ormai risale ad oltre un quarto di secolo fa, ha riscritto completamente le regole della convivenza e dell’interazione tra le persone, oltre che quelle della cittadinanza e dell’umanità stessa. Sottovalutare questa rivoluzione è stato il più grave degli errori che si potesse commettere ed è tempo di porre rimedio a questa leggerezza con un momento importante di confronto, dal quale spero vivamente possa scaturire un pilastro cui si possa far riferimento in futuro, anche in sede normativa.
Ci vediamo a Trieste il 17 e 17 febbraio. Info: www.paroleostili.com.