Twitter e MotoGP: intervista a David di MotoMatters.com

8 Novembre 2011
David Emmet di motomatters.com, Valencia 2011

David Emmet di motomatters.com, Valencia 2011David Emmett (@motomatters) segue tutte le gare europee di Moto GP, Moto 2 e 125 (il prossimo anno la categoria si chiamerà Moto 3) per motomatters.com. E’ molto disponibile, sorridente e affabile e dimostra grande competenza sia nel proprio lavoro che nel mezzo Twitter, che utilizza con entusiasmo. Gli chiedo cosa ne pensi di questo strumento, come crede che sia utilizzato in questo  settore e quali prospettive lui veda.

David: “Cosa ne penso di Twitter? Penso principalmente due cose, prima di tutto che sia una fonte d’informazione fantastica, perché ci sono moltissime persone oggi su Twitter, non soltanto giornalisti o addetti ai lavori in senso stretto. Ci sono i piloti, molti membri delle squadre a differenti livelli e inoltre è un mezzo di comunicazione molto informale, la gente si sente libera di utilizzarlo per scambiarsi informazioni di qualsiasi genere. Lo stesso limite dei 140 caratteri ti costringe a condensare i tuoi pensieri e per certi versi anche a essere più sincero, meno “istituzionale”.

Molto importante è anche l’aspetto dell’interazione. Sul mio sito interagisco molto con gli utenti attraverso Twitter, converso con loro, ricevo commenti, i lettori mi fanno delle domande. Non è la stessa cosa che riceverne da un form sul sito,  è vera interazione in tempo reale, è uno strumento fantastico!”

Chiedo a David cosa secondo lui i fans si aspettino dai piloti, dalle squadre e dalla stampa, su Twitter. “Dipende. Credo dipenda dalle persone. Dai piloti credo si aspettino di capire il loro stato d’animo rispetto alla gara o agli episodi a essa correlati. Credo cerchino quello che non trovano sugli altri media, il feeling autentico del pilota al di fuori del rigore giornalistico e dei toni istituzionali. Vogliono sapere cos’è andato bene e cosa no, ad esempio. Da tutti gli altri, giornalisti in testa, la gente si aspetta di trovare risposta ai quesiti che non vengono affrontati sugli altri media; vogliono poterti dire <<hey, hai dimenticato di scrivere questo! Di cosa si tratta? Fammi capire meglio, approfondisci!>> Questo è ottimo per noi giornalisti, perché ci permette di avere un feedback su quello che scriviamo e ci mette nella condizione di poter svolgere meglio il nostro lavoro e di colmare alcune lacune.

E’ informazione a due vie, la gente ti dice anche se stai sbagliando qualcosa, ti chiede di correggere. Credo sia molto positivo. Il mio background tecnico è quello della programmazione, io sono un fautore convinto della filosofia di sviluppo open source, in cui migliaia di professionisti in tutto il mondo contribuiscono liberamente alla creazione e al miglioramento continuo dei software, garantendo il massimo della qualità ai progetti, perché molti occhi sullo stesso codice sono in grado di offrire il meglio e di evitare errori e risolvere problemi. E’ collaborazione e condivisione. Su Twitter se parli con cento persone novantotto dicono più o meno la stessa cosa, ma le altre due quasi sempre trovano qualcosa che non è stato scritto o che deve essere approfondito e questo ti permette di aprire la mente e di migliorare.

Questi nuovi media stanno cambiando l’intelligenza sociale degli esseri umani, sono degli enormi contenitori (il web stesso lo è) in cui devi soltanto scegliere con cura le fonti e scegliere di chi fidarti, sforzarti di capire se chi sta scrivendo sta in qualche modo scherzando oppure vuole davvero comuincare qualcosa di importante. Twitter è una rivoluzione nel modo di comunicare e nella capacità di relazione tra gli esseri umani, come la storia ci sta insegnando. Tutto è già cambiato. Io seguo le gare europee e riesco a fare il 95% del mio lavoro cercando notizie in rete, così come può fare la gente cercando su Google, ad esempio, ma Twitter è in grado di fare di più, perché c’è interazione tra gli utenti che possono non saper rispondere ma indicarti chi può farlo, proprio come avviene con i link sulle pagine web.”

Piccola deduzione su questo fantastico spunto, per il quale ringrazio David. Sui social media, Twitter in testa, ciascuno di noi è un anello della lunga catena dell’informazione, proprio come avviene nella vita di tutti i giorni, ma probabilmente con  meno gradi di separazione rispetto ai 6 teorizzati da Frigyes Karinthy.  Siamo link viventi, alcuni di noi sono addirittura degli hub, in grado di tenere le fila di un disegno a carattere globale; un gigantesco wiki planetario in tempo reale.

È questa la vera forza dei media sociali in tutte le loro declinazioni, forme e implicazioni. I motori di ricerca hanno rivoluzionato il mondo e moltiplicato le possibilità di conoscenza, archiviazione e catalogazione del sapere umano, ma questi nuovi mezzi sono in grado di lavorare in tempo reale su scala globale e su tutti i livelli, dal più basso ai più elevati, dando voce a tutti e consentendo di ricomporre un puzzle cui nel mondo reale mancano sempre migliaia di pezzi.

Un piccolo esempio? Pensiamo a un operatore ecologico che raccolga un vecchio telefonino gettato via impropriamente e se ne lamenti su Twitter;  poi agli ingegneri che lo hanno progettato, senza porsi questo problema, che forse sarebbe stato di competenza delle aziende che lo hanno messo sul mercato e che invece non si sono preoccupate del suo destino finale, così come non hanno saputo fare fino in fondo i legislatori o gli addetti al controllo e le forze dell’ordine. Su Twitter questa catena di conoscenze può ricompattarsi e, tornando indietro dall’inceneritore al progetto iniziale, il genere umano ha la grande opportunità di riconsiderare il proprio modello di sviluppo partendo dalla cultura e dal pensiero, anziché dall’economia come sempre accade nel modello capitalistico / consumistico. Esempio troppo ambizioso? OK, torniamo alla nostra intervista.

“Il mio obiettivo su Twitter è quello di essere la persona che da le risposte, nell’ambito del mio settore. Credo che per questo si possa prendere lezione dallo spam, che utilizzato per finalità commerciali tende a piazzare link in giro per la rete, specialmente nei forum, come risposta a qualsiasi genere di domanda. <<Cerchi un programma per fare questa cosa? Eccolo, io uso questo [segue link]!>>. La differenza tra spam e informazione consiste principalmente nella fiducia che tu riponi in chi ha indicato quel link. Ovviamente la stampa è quasi sempre accreditata di fiducia da parte degli utenti, cosa che rappresenta una responsabilità e una missione.”

Chiedo se sia comunque importante essere sugli eventi, visto che il 95% del lavoro si può fare oggi online. “Ovviamente, è fondamentale oggi come lo era in passato. Devi esserci. Esserci significa stabilire delle relazioni, vedere le cose con i propri occhi anziché limitarsi a riportarle. Esserci significa anche fare un lavoro migliore quando proprio non ce la fai a essere presente fisicamente, ma il peso della presenza fisica sul luogo dell’evento è comunque fondamentale. This is still the real world”.

Riflettiamo assieme che il mondo virtuale in cui noi tutti oggi sempre più spesso ci immergiamo non è altro che la proiezione o la copia di quello reale. Senza il mondo reale non potrebbe esistere quello virtuale; la polemica sulla presunta alienazione che i social media potrebbero determinare nelle persone è basata su presupposti pregiudizievoli e troppo spesso dimentica di considerare che non si può imputare al mezzo l’uso che la gente ne fa. Chi si limita a vivere solamente in rete, non vive una vita virtuale, come molti sostengono. Ci si relaziona sempre con persone in carne e ossa, quando si fa uso dei nuovi media (non si tratta di videogiochi in cui ci si scontra con un computer). Il problema, ovviamente, è nell’abuso che se ne può fare, rintanandosi in casa e limitandosi a interazioni a distanza. Reali, comunque, non virtuali. È molto più virtuale la lettura di un libro, o la visione un film o della televisione, che non una sessione di utilizzo dei social media. Tutte queste cose, tuttavia, vanno sempre prese nella giusta dose e con l’approccio corretto.

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