Tecnologia, business e rispetto dell’ambiente: è davvero utopia metterli assieme?

29 Ottobre 2014
Il nuovo Dyson360eye

Il nuovo Dyson360eyeChi, come me, ha il pallino della salvaguardia dell’ambiente e del risparmio delle risorse, non può non chiedersi se, in un futuro non troppo remoto, le aziende riusciranno finalmente a fare business senza giocare con il futuro della terra.

Molto spesso finisco per cedere alla tentazione di ammettere che questa utopia non si realizzerà mai, ma frequentando per lavoro aziende d’eccellenza, mi capita a volta di dover ridefinire i miei parametri e i miei pregiudizi verso quelle (poche) aziende che stanno combattendo la loro battaglia per l’eccellenza in modo differente, puntando su strategie e su filosofie che fanno davvero onore a questo impegno.

Negli ultimi mesi ho seguito il lancio di una nuova gamma di aspirapolvere Dyson, la bontà dei quali prodotti sperimento e testimonio in prima persona, giorno dopo giorno, perché mi reputo davvero soddisfatto dal mio aspirapolvere DC52 e non soltanto in termini di prestazioni. Certo che quelle contano, ma i parametri che dovremmo imparare a valutare meglio sono molti di più, se vogliamo davvero scegliere quello che acquistiamo in modo intelligente.

Oltre a possedere una macchina di questa marca, ho avuto il piacere di conoscere l’azienda molto da vicino, e questa frequentazione mi ha permesso di comprendere come in Dyson quelle che io ritenevo utopie possano invece essere perseguite.  Questa azienda sposa appieno la filosofia di business di quei pochissimi marchi al mondo che concentrano la propria vision su obiettivi importanti e lungimiranti, piuttosto che su una monetizzazione facile e immediata e su una strategia che parte dalla fine, anziché dall’inizio, concentrandosi quasi esclusivamente su prezzo e marketing, come fanno in troppi.

Quando acquistiamo un qualunque prodotto, tutti noi ci facciamo molte domande. Sarà un buon prodotto? Avrà le prestazioni che mi aspetto? Me lo potrò permettere? Quest’ultima domanda, tra tutte le altre, è quella che spesso ci induce a compiere scelte meno impegnative, che ci mettono in pace con la coscienza e che ci fanno sentire un po’ meno consumisti e spreconi.

Nella maggior parte dei casi, però, il risparmio economico che abbiamo fatto sul momento nasconde qualche lato oscuro, nelle cui pieghe si cela il peggio di un modello di business che non ha saputo competere in positivo e verso l’alto. Spesso, al contrario, la competizione tra le aziende è al ribasso, e il prezzo diventa così il solo parametro che la maggior parte dei consumatori è in grado davvero di valutare.

Il problema è che tale valutazione non è mai fatta con la necessaria lucidità e partendo dai presupposti corretti. Il prezzo rappresenta per molti un valore assoluto, quasi distinto da tutti gli altri parametri, e quella vaga idea di rapporto prezzo qualità che spesso invochiamo, è figlia piuttosto dei nostri pregiudizi, che non di valutazioni oggettive, basate su informazioni concrete, complete e corrette.

La rete ha fatto molto, da questo punto di vista. Ha dato a tutti la possibilità di conoscere pressoché tutto quello che ci occorre per fare una scelta davvero consapevole. Ma, anche per i più smaliziati, valutare quali siano i parametri più importanti non è semplice né agevole.

Di chi è la colpa? Nella maggior parte dei casi la responsabilità è della comunicazione e del marketing che le aziende fanno dei propri prodotti, figlia di strategie di business che nel tempo hanno rivolto la propria attenzione verso scelte sempre meno condivisibili.

Oggi, fortunatamente, certe sensibilità iniziano a fiorire e si assiste a un impegno crescente delle aziende su tematiche correlate al rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, all’interazione e al coinvolgimento dei consumatori nel processo progettuale e produttivo, al risparmio energetico, etc.

Ma sono tuttora troppi, i consumatori che faticano a comparare nel modo corretto i prodotti, finendo per fare considerazioni pregiudizievoli o inesatte rispetto al parametro del rapporto prezzo qualità e a tutti gli altri parametri che essi prendono in considerazione, nel loro viaggio verso l’acquisto.

C’è poi un aspetto su cui molte aziende faticano ancora a ragionare nella direzione giusta, ostinandosi a praticare la vecchia strada dell’obsolescenza programmata dei prodotti, piuttosto che allungarne il ciclo di vita e perseguire politiche più responsabili e lungimiranti.

Una cosa è chiara: un prodotto non può durare per sempre, per una questione di fisica, prima di tutto, ma anche perché se i prodotti durassero per sempre le aziende chiuderebbero molto in fretta. Ecco perché, già dai primi decenni del secolo scorso, le aziende hanno fatto sistema e cartello tra loro, stabilendo che la vita dei prodotti dovesse essere limitata in modo programmato.

Questa scelta opinabile, ha garantito che il sistema industriale ed economico che tutti conosciamo arrivasse sino ai nostri giorni, ma al tempo stesso ne ha determinato la rovina. La crisi che affrontiamo in questi anni, è figlia di precise scelte che le grandi aziende multinazionali hanno fatto, per il proprio tornaconto e a discapito dell’ambiente e della sopravvivenza stessa del genere umano.

È per questo che oggi, in un’era in cui alcune aziende si stanno facendo pioniere di un nuovo modo si concepire il business, i consumatori più attenti e sensibili, quelli che in gergo markettaro chiamiamo prosumer, dovrebbero sforzarsi di comprendere questo cambiamento e di cambiare radicalmente il proprio modo di valutare il rapporto prezzo qualità dei prodotti e dei servizi.

Tornando a Dyson, azienda da cui parte il mio ragionamento, la sua politica di prezzo risponde a una serie di parametri che all’atto dell’acquisto dovrebbero essere presi in seria considerazione. Uno degli impegni di questa e di poche altre aziende in tutto il mondo, riguarda proprio la politica relativa al tema dell’obsolescenza programmata.

Le macchine prodotte da Dyson, sono progettate per durare almeno dieci anni, scelta che da un lato ne giustifica il prezzo, in quota parte con la qualità generale del prodotto e con le sue prestazioni, e dall’altra determina importanti ricadute sulla salvaguardia dell’ambiente, sulla riduzione degli sprechi e sulla produzione di rifiuti.

È questa la scommessa che i consumatori più virtuosi dovrebbero aiutare le aziende più responsabili e lungimiranti a vincere.  Alla base della pratica dell’obsolescenza programmata, infatti, c’è un patto non scritto, tra aziende e consumatori che, a discapito dell’ambiente e della sostenibilità, hanno accettato l’idea che qualsiasi cosa dopo un po’ di tempo perde comunque il suo fascino e, pertanto, abbassarne il prezzo e consentire di cambiarla più spesso conviene ad entrambe le parti.

Perché tenere nell’armadio una camicia per molti anni? Meglio che si consumi in fretta e che costi meno, così l’azienda che la produce potrà vivere a lungo e i consumatori avranno sempre prodotti nuovi da indossare.  Colpa delle aziende, dunque? Oppure si tratta di una delle troppe complicità che ha portato questo sistema al collasso?

Io credo che le aziende abbiano la loro parte di colpa, ma che i consumatori debbano tornare a essere cittadini pensanti, in grado di scegliere bene quello che comprano. Pensiamo soltanto alla scelta di Dyson di abbandonare l’uso dei sacchetti e dei filtri, sui suoi aspirapolvere; soltanto in Europa, gli aspirapolvere con sacco producono 126 milioni di sacchetti da smaltire ogni anno! Sacchetti che costano al consumatore e che rappresentano una vera piaga per l’ambiente.

Ma pensiamo anche agli aspetti che possono nascondersi dietro agli aspetti normativi, cui le aziende debbono sottostare e che, spesso, le inducono a “trovare un modo per starci dentro”, piuttosto che a fare vera innovazione e a rispettare davvero consumatori e ambiente.

Un chiaro esempio è costituito dalla nuova normativa ErP, in vigore dal 1° settembre 2014, che definisce, anche per gli aspirapolvere, classi energetiche dalla A alla G e una potenza massima di 1.600 watt, che diventerà 900watt nel 2017,  e che impone l’apposizione sui prodotti di un’etichetta con alcune informazioni standard.

ErP Settembre 2014

La gamma Dyson è per sua progettazione e filosofia conforme alla normativa sul wattaggio dei motori; il 100% delle sue macchine, è sul mercato con motori che non superano i 1.600 watt. Ma l’azienda mette in evidenza come questa normativa sia solo il primo passo verso l’efficienza energetica, e che il vero obiettivo debba essere l’efficienza per il consumatore (risparmio) e per il pianeta (impatto ambientale).

Se torniamo al ragionamento fatto in precedenza sui sacchetti e sui filtri, ad esempio, la differenza di consumo tra un aspirapolvere in classe A e uno in classe G genera circa 9 Euro l’anno di risparmio, mentre il costo della sostituzione di sacchetti e filtri può superare gli 800!

Se aggiungiamo a questo risparmio economico tangibile per il consumatore, il risparmio ambientale legato all’assenza di filtri e sacchetti e alla garanzia di 10 anni sul prodotto, appare chiaro come le macchine Dyson costituiscano un vero e proprio punto di riferimento, per chi crede che un business ecosostenibile sia possibile e che il vero risparmio non sia spendere meno, ma spendere bene e scegliere meglio.

Sono esempi come questo, quelli che dovremmo sempre perseguire.